Meditazione di Don Marco del 26-02-14

Gesù Buon Pastore e il parroco Suo “inutile” servo.

Prima Parte

 In quel tempo Gesù disse: « Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

lo do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. lo e il Padre siamo una cosa sola ».

(Gv 10,27‑30)

 «Le mie pecore ascoltano la mia voce». Ascoltare.

C’è nella Bibbia una preghiera che incanta il Signore.

Il giovane Salomone, la notte prima di salire al trono, ha paura e prega, e Dio gli dice: Chiedimi quello che vuoi e te lo darò.

Ed ecco che il ragazzo risponde in un modo che incanta il Signore: Donami un cuore che ascolta.

E Dio è stupito: Poiché non hai chiesto lunga vita e ricchezza e vittoria sui nemici, tutto questo ti darò insieme a un cuore che ascolta (cfr. 1 Re 3,5‑14).

Ascoltare è il primo servizio da rendere a Dio e all’uomo. Ascoltare qualcuno è già dirgli: tu esisti, tu sei importante.

Amare è ascoltare.

Pregare è ascoltare Dio.

Dio è ascoltato perché parla il linguaggio della gioia.

Infatti Gesù aggiunge: «Io do loro la vita eterna ».

Ed è importante, per una volta almeno, fermare tutta l’attenzione proprio su quanto Gesù si impegna a fare per noi.

Lo si fa così raramente!

Tutti sono lì a ricordarci continuamente i nostri doveri, tutti ci richiamano all’impegno, allo sforzo di far fruttare i talenti, di mettere in pratica i comandamenti, e molti cristiani rischiano di scoraggiarsi perché non ce la fanno. E io con loro.

Allora è bene, è salute dell’anima, respirare la forza che nasce da queste parole di Gesù: « lo do loro la vita eterna».

Vita per sempre, senza condizioni, prima di tutte le mie risposte; la vita di Dio è data, è dentro, è come un seme, e sento che inizia a muoversi appena mi avvicino un po’ al Signore.

Il Vangelo prosegue con una ripetizione, un raddoppio che ha il potere di emozionarmi sempre. Dice Gesù: « Nessuno le strapperà dalla mia mano ».

E notiamo la forza di questa parola assoluta: nessuno le strapperà.

Subito raddoppiata: « Nessuno può strapparle dalla mano del Padre ». lo, tu, nessuno ci porterà via dalle mani di Dio.

Il mio destino, il tuo, è inseparabile da quello di Dio.

Ecco la vita eterna: un posto fra le mani di Dio, un amore non più strappato. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocifissi ripetiamo: Nelle tue mani affido la mia vita.

Le mani di Dio.

Mani di pastore contro i lupi, mani impigliate nel folto della vita,

mani che proteggono la mia fiamma smorta,

mani sugli occhi del cieco,

mani che scrivono nella polvere e non lanciano sassi mai a nessuno,

mani che sollevano la donna adultera da terra,

mani inchiodate in un abbraccio che non può terminare, e poi tese: «Tommaso, metti il dito nel foro delle mie mani! » (cfr. Gv 20,27).

Mani offerte perché io ci riposi e riprenda il fiato del coraggio.

Questo amore di mani è la mia vera religione.

Dove sento Dio che dice: Mi importa di te.

Dalla certezza che a Dio l’uomo importa inizia l’avventura di coloro che vogliono, sulla terra, custodire e lottare, camminare e liberare.

Anche a noi l’uomo importa.

Infatti non soltanto a Pietro è detto: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore » (Gv 21,15‑17), ma ciascuno di noi è Pietro e Paolo e Timoteo, ciascuno pastore di un minimo gregge che è affidato alle nostre cure, hanno nomi e cognomi i miei agnelli, a partire dalla mia famiglia…

Ciascuno può essere mano da cui non si rapisce; poterlo dire a chi amo: Nessuno ti strapperà via.

Cristo è uno che dà vita e la mia vocazione è la stessa: essere nella vita datore di vita.

Io non so, Signore, se davvero ascolto la tua voce.

Ma ti prego: se non ti ascolto, chiamami più forte.

Se trovi chiusa la porta del cuore, non andare via.

Se ho fatto tardi, non andare via.

Tu il solo pastore, che nei cieli mi fa camminare.

Seconda Parte

In quel tempo 5Gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe.
7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? 8Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»».

(Lc 17,5‑10)

« Gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!” »

Nel Vangelo tutte le preghiere  di uomini, donne, malati, peccatori, discepoli  si riassumono in due sole richieste.

La prima: Signore, abbi pietà; la seconda: aumenta la nostra fede.

In queste due richieste è riassunto l’universo del cuore umano, il nostro mondo di dolore e di mistero.

Abbi pietà: pietà di questa povertà che sono e di questo dolore che porto.

Aumenta la fede: perché senza fede non c’è vita umana.

Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno?

Noi ci umanizziamo per relazioni di fiducia, a partire dai genitori, a cominciare dalla madre.

Come è possibile tracciare una storia d’amore senza aver fiducia nell’amato ?

Come è possibile perfino uscire di casa, salire su di un autobus, guidare l’auto, andare in ospedale, senza la fiducia che tutti osserveranno le regole e saranno leali ?

« Se aveste fede quanto un granellino di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare” ».

Un granellino microscopico.

Non serve poca fede, ne basta pochissima, quasi niente: è questione di qualità, non di quantità.

Fede da granellino di senape: non quella sicu­ra e spavalda che crede di salvare il mondo, ma quella che nella sua fragilità ha ancora più biso­gno di Dio, che nella sua piccolezza ha ancora più fiducia in lui e si abbandona, si affida, si fida.

«Vai a piantarti nel mare».

A ben guardare, si vedono mol­ti alberi piantati nel mare.

missionari che vivono in luoghi impossibili; uomini e donne, nella loro casa, che portano problemi che non hanno soluzione, con un coraggio da leoni; mura invalicabili di odio dissolversi perché qualcuno ha avuto il coraggio di perdonare e di fare il primo passo.

Se guardo con gli occhi della Fede, vedo il mare coprirsi di alberi meravigliosi, si vede la fede di Cristiani meravigliosi!

Non attraverso miracoli spettacolari, ma con il miracolo quotidiano di un amore che non si arrende nel nome e con la Grazia di Cristo.

E ancora ci dice Gesù nel Vangelo:

« Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà: “Vieni subito e mettiti a tavola?” Così an­che voi, quando avete fatto tutto, dite: “Siamo servi inutili” ».

Una parola che sembra contraddire altri pas­si del Vangelo (« Beati quei servi… Vi dico che il padrone li farà mettere a tavola e passerà a servirli »: Lc 12,3 7); e poi sorprende l’aggettivo «inutili», che può disorientare, se capito male.

«Inutile» in italiano significa che non serve a niente, incapace.

Ma non è questo.

La parola greca originaria (achreioi) vuol dire non tanto « inutili », ma che non si aspettano un utile, che non ricercano un vantaggio; servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini.

Servi che di nulla hanno bisogno, se non di essere se stessi, che agiscono senza un fine che non sia la sola motivazione dell’amore del e per il Padre.

Madre Teresa di Calcutta dice: «Nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amo­re metti in ciò che fai.

Il servizio è più vero, più importante dell’utile che ne deriva ».

Fede vera non è far volare alberi sul mare: neanche Gesù l’ha mai fatto.

Fede vera è nel mi­racolo di dire: voglio essere semplicemente ser­vitore di quelle vite che mi sono affidate, nel nome e con la Grazia di Cristo, mio marito, mia moglie, i miei figli, l’anziano che ha perso la salute, e non avanzo neppure la pretesa della sua guarigione.

Io servo perché questo è il solo modo per creare una storia che umanizza, che libera, che pianta oasi nel deserto, alberi nel mare.

Non per premio o per castigo, come i bambini; non per sanzioni o per ricompense, come i paurosi, ma per libero amore, forza trascinante della vita.

Signore, ti preghiamo, concedici grandi campi da arare, un granel­lino di fede e gli occhi di un profeta per vedere il tuo progetto, le vie della Tua Volontà, come una goccia di luce impiglia­ta nel cuore vivo di tutte le cose, e di essa, concedici di divenire servi senza pretese, liberi e contenti.

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